Per prevenire il ritorno della malattia in Sardegna, il governo deve rafforzare il cordone sanitario sugli animali e le carni in uscita dalle aree del nord Italia infette dalla Peste suina africana.

Il quadro epidemiologico degli ultimi giorni, con i nuovi focolai tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, deve spingere la task force della sanità animale nazionale ai massimi livelli di allerta. Lo afferma Paolo Mele, presidente di Confagricoltura Sardegna, ricordando che l’isola è stata liberata dalla malattia solo dal 2019, dopo una serie di restrizioni e politiche di eradicazione molto serrate.

“I controlli devono essere immediati e accurati, soprattutto nelle zone in cui il virus dei suini si sta diffondendo, e non solo a campione nei nostri porti e aeroporti”, prosegue Mele, “dove oggi transitano decine di migliaia di passeggeri, rendendo quasi impossibile la buona riuscita delle verifiche nei check point sanitari”.

Dal 1978, la Sardegna è stata il centro in Europa del genotipo 1 della Psa nei maiali e nei cinghiali, mentre da alcuni anni il genotipo 2, molto più aggressivo e virulento, si sta diffondendo tra animali domestici e selvatici in gran parte dell’Europa centro-orientale, dell’Asia e in otto regioni italiane. “Se da un lato è fondamentale contenere il virus nelle zone colpite”, osserva Mele, “è altrettanto importante avviare campagne di formazione e informazione per veterinari e allevatori. È essenziale conoscere bene la malattia e tutte le buone pratiche di biosicurezza necessarie per evitare la circolazione della Psa e quindi contenerne la diffusione nelle campagne e negli allevamenti. Al contempo, è irrinunciabile un’azione veterinaria coordinata su base nazionale e con i territori infetti o ancora non interessati dalla malattia. Questi sono gli accorgimenti fondamentali per limitare il rischio di un ritorno della peste suina africana in Sardegna”.